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sabato 29 agosto 2020

Centro studi: cultura - Il pensiero di Julius Evola.

CENTRO STUDI: CULTURA - IL PENSIERO DI JULIUS EVOLA.






Di Evola sul piano personale non si può certo dire che fosse un fatalista; sta a dimostrarlo la sua ferma critica del mito della Storia con la "esse" maiuscola, che procederebbe ineluttabilmente in una data direzione, in quanto questo mito fomenta <<la narcosi di coloro che non si rendono conto delle forze a cui hanno ceduto e... asseconda le parole d'ordine di quelli che vogliono che la corrente si faccia sempre più ripida, che nessuno si opponga, che le ultime dighe siano rotte>>. Il mito della storia è quindi una delle armi psicologiche più intelligenti e micidiali messe a punto dai demo-comunisti per paralizzare (o addirittura far lavorare per loro) gli avversari più stupidi. Chi stupido non è, non deve prestarsi a questo diabolico giuoco, e deve sempre tener presente che <<sono gli uomini, finché essi sono davvero uomini, che fanno e disfanno la storia>>. 
Prendendo a pretesto la lettura di Evola, certuni, nella loro ottusa presunzione, si sono chiusi in un "aristocratico" disprezzo per il mondo moderno, disertando così il loro posto di combattimento, e dimenticando che la vita deve essere vissuta come una lotta anche nelle condizioni più disparate e disperanti; altri, invece, si sono gettati a corpo morto a vivere le esperienze più alienanti e autolesioniste della vita moderna, credendosi capaci di "cavalcare la tigre" quando invece le loro terga non erano buone neanche per montare un ciuco. Gli uni e gli altri finiscono quasi sempre per perdersi e sono, comunque, incapaci di incidere in una qualunque misura nella realtà del nostro tempo. Evola intende la tradizione come tutto un mondo (riti, istituzioni, leggi, ordinamenti) declinato ormai definitivamente con le sue ultime propaggini del medioevo, e soppiantato dalla civiltà moderna, che si configura come qualcosa di completamente diverso, anzi opposto, al mondo tradizionale.
Senza mettere in dubbio il fascino e la veridicità di fondo di questa interpretazione, dobbiamo però notare che essa porta, volenti o nolenti, a guardare all'indietro, al "bel tempo antico", a considerarsi dei "sopravvissuti", dei "nati nel secolo sbagliato"; ma, soprattutto, una tale concezione porta a vivere la tradizione in maniera libresca e cerebrale, stante l'impossibilità spazio-temporale di viverla organicamente. Per noi, invece, la tradizione è rappresentata da quelle realtà concrete e viventi nelle quali veniamo a nascere o che plasmiamo con la nostra volontà e col nostro esempio, nella nostra semplice cerchia familiare e nelle cerchie via via più ampie; è la trasposizione nella carne della storia di quei valori, di quei sentimenti e di quelle qualità che portiamo impressi come un destino in noi fin dal nostro irrompere sulla scena di questo mondo, è il rimaner fedeli a ciò che di eternamente valido ci hanno trasmesso i nostri antenati.
La tradizione, insomma, deve essere anche uno stile di vita, non una parola pronunciata per "compensare" la propria defezione, la propria incapacità di vivere. Non è usando la parola tradizione come il prezzemolo a condimento di tutti i discorsi che si rende un servizio alla tradizione e, soprattutto, che si dimostra la propria intelligenza.
Evola, avendo ben compreso che buona parte dei problemi politici e socio-economici si risolveranno conseguentemente quando si sarà venuto a creare un nuovo clima, quando sarà venuto a prevalere un nuovo tipo di uomo, che ciascuno di noi deve sforzarsi di incarnare ogni giorno in se stesso. Questa è la vera e più duratura rivoluzione: quella che avviene silenziosamente e profondamente nelle nostre coscienze, nella nostra carne e nei nostri sensi, e che non è egoistica o individualistica, perché essa è destinata ad "esplodere" socialmente, per la viva forza dell'esempio: l'esempio, buono o cattivo, è la cosa più contagiosa fra gli uomini. Ora, è il momento di elaborare a tavolino bei programmi per l'organizzazione della "nostra" società, al posto della società del consumismo e dell'edonismo capital-borghese e della società del formicaio materialista capital-marxista; per questo si debbono avere chiare certe idee fondamentali che qui vi riportiamo, che non sono certo un nazionalismo ottocentesco o l'esaltazione dell'ordine pubblico. 
Sul terreno socio-economico proponiamo non già la teorica affermazione dei diritti della proprietà, come fa certa destra, con la quale non abbiamo niente da spartire, bensì il diritto di tutti alla proprietà; la diffusione della proprietà (da impiegare naturalmente nel rispetto delle esigenze sociali), è il miglior antidoto al capital-marxismo, per le qualità psicologiche che presuppone e che propizia.
Siamo per la diffusione della proprietà non solo per una elementare questione di giustizia sociale, ma anche per mettere tutti quanti di fronte alle proprie responsabilità, per chiudere la bocca ai sociologi e agli avvocati secondo i quali se da piccolo ricevi dei "traumi" psichici e se non vivi un processo di "normale" socializzazione fin dall'asilo e se non ti esaudiscono i capricci, c'è poco da fare: quasi sicuramente diventerai asociale, e non ne dovrai rispondere alla tua coscienza, ma prendertela con la società. Una volta assicurato a tutti il minimo indispensabile per una vita dignitosa, nessuno avrà più il diritto di contrabbandare la propria criminalità per un atto di rivolta contro le ingiustizie della società.
Assicurare a tutti i cittadini adulti i mezzi della propria sussistenza, senza comunque che li debbano elemosinare proletarizzandosi, e, contemporaneamente espropriare gli espropriatori, i truffatori della banca che ci fanno pagare a peso d'oro, addebitandocela, la carta straccia che essi stampano come moneta, controllando tutto: economia, cultura e politica e tutti gli spazi della nostra vita. Perché a questo sono ridotti i "politici" di oggi, di governo e dell'"opposizione": ad essere gli uomini di paglia del grande capitale privato o di stato! 

-Fonte: Julius Evola, "ultimi scritti" edizioni Controcorrente. 

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